Una mamma racconta – Francesca

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Nella nostra esperienza possiamo dire con decisione che ogni mamma, ogni nascita è davvero un universo a se, con le sue caratteristiche peculiari, le quali la rendono unica e irripetibile, distinguibile fra milioni di altre. Eppure l’esperienza dell’arrivo di un bambino raccoglie elementi che, se pur con sfumature e intrecci di eventi ogni volta diversi, attraversano e segnano un sentiero comune, un vissuto che rende ogni persona simile e che possono regalare un senso di appartenenza ancestrale aldilà delle differenze. Anche per questo pensiamo sia importante dare voce alle esperienze delle mamme che abbiamo conosciuto o che abbiamo solo incrociato nel nostro cammino, dando forse un’opportunità di condivisione importante per tutta la comunità.

Oggi siamo felici di riportarvi il racconto appassionato e intenso di Francesca, mamma per la seconda volta che ci regala una fotografia delle sue gravidanze dalle molteplici facce, dai mille volti diversi e per questo preziosi per tutti noi.

 

Se ti dico maternità cosa ti viene in mente?

Il congedo di maternità è la prima cosa che mi viene in mente, i mesi a casa dal lavoro, un periodo in cui la vita è completamente diversa dal solito. Non c’è il ritmo che a volte può essere soffocante – sveglia presto, bambini all’asilo o a scuola, otto ore di ufficio, cena, vestiti, cartelle, e si ricomincia. Si può fare la spesa con calma, si può andare in libreria. Ma è anche un periodo di isolamento, in cui si è a stretto contatto con un bebé, ne si diventa anche un po’ ossessionati – quanto mangia, quanto dorme, quanto cresce. Un periodo in cui il compagno torna a casa dal lavoro la sera, lo si aspetta per ore e poi però tra i vari compiti e bimbi che urlano di sottofondo quasi non si riesce a parlare.

Poi mi viene in mente il reparto maternità dell’ospedale, mille infermiere, alcune simpatiche, altre meno, ma tutto abbastanza estraniante; tranne che i piccolissimi, appena nati, sono splendidi e leggeri, sonnolenti, commoventi.

In fondo, l’esperienza in sé è solo la terza cosa che mi viene in mente. Se però rifletto sull’esperienza in sé, mi viene in mente la vita che si ribalta, che cambia completamente, nel bene e nel male. Nel bene: che nasce una nuova dimensione di sé, che si creano persone che prima non esistevano, che è anche una fortuna vivere nel mondo dei bambini. Nel male: che a me, la prima volta, è sembrato di perdere la libertà di vivere la mia, di vita. Poi, rispetto alla seconda gravidanza, forse soprattutto per me che ho avuto il secondo figlio a 39 anni… maternità mi fa anche venire in mente l’ultimo grande pezzo dell’età giovane.

Ricordi il gesto più gentile?

Io non stavo bene nell’ultima gravidanza, quasi mai. Prima le nausee, che non mi spaventavano ma mi davano fastidio. In concomitanza, il ginecologo che mi dice che l’utero è troppo contratto, per scongiurare il rischio di aborto spontaneo mi riempie di progesterone (bleah!) e mi impedisce di camminare (mia vera valvola di sfogo). Subito dopo, le vampate, con conseguenti giramenti di testa e mancanza di forze. A ruota, secondo trimestre di continui cali di pressione, forti e debilitanti. Quando sono passati i cali ero alla fine del secondo trimestre, con già almeno una dozzina di chili in più del punto di partenza: difficoltà a respirare, difficoltà a digerire, non esistevano posizioni comode, né in piedi, né seduta, e nemmeno sdraiata. La mia prima gravidanza era stata quasi senza problemi, a parte una montagna di peso preso e fortunamente perso subito dopo. Nella mia seconda gravidanza ad occhio e croce direi che non mi sono sentita bene mai, per quanto fossi strafelice di aspettare un bambino. Mi sono sentita per 9 mesi malata e debilitata.

In questo contesto, di gesti gentili ce ne sono stati tanti. Soprattutto da parte dei colleghi! Dalla collega che mi portava i cioccolatini, a chi aveva capito prima del tempo ma ha taciuto, a chi poteva rimpiazzarmi in situazioni faticose come viaggi di lavoro e l’ha fatto con un sorriso. Tutti facevano a gara a farmi sedere, tanti si fermavano per farmi le congratulazioni e scambiare due parole gentili, dall’addetto alla sicurezza al direttore. Gli sguardi complici delle donne, indipendentemente dal fatto che ci fossero passate, o ci volessero passare, oppure no. Gli sguardi ammirati degli uomini, che a me sembrava pensassero sempre sotto sotto alla loro, di mamma, o, a volte, a quando erano state incinte le loro mogli – ah, le donne quando fanno esattamente quello che ci si aspetta che facciano, e quando sono come un po’ indebolite, come sono tutto d’un tratto rassicuranti… Gli unici giustamente più indifferenti erano i più giovani, ma comunque gentili, tutti davvero gentili, e pieni di domande timide (“ma tipo, tu lo senti il bambino? Ma non ti fa SENSO?”). Il mio vicino mi ha portato il pranzo in ufficio quando non avevo nemmeno la forza di scendere al bar, tre piani in discesa rigorosamente in ascensore. Il mio collega che mi ha detto che ero bellissima quando avevo totalizzato 20 chili di più del mio peso normale, e onestamente non è che mi vedevo un mostro, è che proprio lo ero, ero grassa persino IN FACCIA, SUI POLSI, in posti in cui uno nemmeno se lo immagina di poter accumulare grasso. E poi una sconosciuta, figlia di un’amica di mia madre. Lei aveva avuto gli stessi miei problemi in gravidanza di improvvisi cali di pressione, svenimenti che lasciano senza forze e terrorizzate per ore o giorni; e lei si è presa il tempo per parlarmi al telefono, anche senza avermi nemmeno mai vista, per rassicurarmi, per farmi ridere, per normalizzare o anche solo per aiutarmi a passare il guado… come se fosse stata un’amica da sempre.

C’è qualcosa che non hai sentito giusta per te in gravidanza, nel parto o dopo che il tuo bimbo è
nato?

Nella seconda gravidanza avevo continui cali di pressione e cercavo delle risposte mediche che non sono arrivate; forse cercavo anche un conforto dal ginecologo, e non è arrivato nemmeno quello. Le risposte forse non esistevano (“la ragione è questa, la soluzione è questa”), il conforto invece non sarebbe in fondo costato nulla (“capita anche ad altre persone, non è una cosa pericolosa, il bambino non corre rischi, fatti coraggio, passerà presto e tutto tornerà come prima, se non che nel frattempo avrai un bel bambino in braccio”).

Hai avuto la possibilità di raccontare questa tua sensazione a qualcuno e ti è stato utile?

Mi sono sfogata relativamente poco con gli amici; di più con mio marito, e ancora di più con mia sorella.
E con Bruna che mi ha fatto da Doula. Non mi sono passati i momenti di malessere, che sono continuati fin quando non hanno lasciato il posto ad altri problemi (montagne di sovrappeso, scomodità a fare tutto, a respirare persino!!… oh mamma quella l’avevo fortunamente dimenticata). Ma mi ha dato sollievo, una valvola di sfogo, una sensazione di sostegno e a volte la possibilità di riderci su. Parlavamo al telefono e avevo la possibilità di dire: “sto male!!!”, ma siccome era un’amica, avevo anche voglia di ridermi un po’ addosso. E poi qualche strumento forse piccolo ma davvero carino, come i 5 minuti di meditazione, che poi erano 5 minuti di calma, momenti per me e per calmarmi; momenti in cui, da sdraiata, effettivamente non potevo svenire.

Durante la gravidanza come immaginavi sarebbe stato il tuo parto (in generale la nascita del tuo bambino?)

Durante la prima non immaginavo nulla, è stato tutto imprevisto. Cioé: avevo fatto il corso, mi avevano raccontato il raccontabile, purtroppo in francese, può darsi che abbia perso qualche sfumatura o che non mi sia fermata a fare le mille domande che avrei fatto alle amiche di scuola. Quando sono arrivate le contrazioni era circa mezzanotte ed io e mio marito eravamo elettrizzati e contenti. Già dopo un’ora avevano preso più forza e io cominciavo a soffrirne: dopo ognuna mi saliva un calore infernale al viso e mi girava la testa. Verso le 2, installata in ospedale, ho chiesto e ricevuto l’epidurale, che mi ha dato un paio d’ore di sollievo. All’arrivo, l’infermiera aveva detto che la dilatazione era già avanzata, sarebbe andato tutto molto in fretta. Purtroppo non è andata così: le contrazioni erano buone, io mi dilatavo ma la bambina non scendeva. La stanza in cui ho passato il travaglio era fredda, e l’epidurale, dopo due/tre ore, reggeva meno. Le infermiere continuavano a cambiare e mi hanno messa in posizioni scomodissime per far scendere la bimba. Invece lei non scendeva, e a me saliva la febbre. Alle prime luci del mattino stavo onestamente malissimo. A quel punto è arrivato il ginecologo che mi è sembrato un cavaliere sul cavallo bianco, quando invece era in ritardo come un autobus di Roma. Mi ha accarezzato e pronunciato la frase: “la bambina comincia ad entrare in sofferenza, e anche la madre si allontana; dobbiamo fare un cesareo”. Ora, la prima parte della frase non era rassicurante, ma la seconda sì, perché a quel punto per me ci voleva una soluzione più rapida possibile. C’è stata poi ancora un po’ di attesa ma per fortuna il momento dell’operazione è arrivato, nuova anestesia ed io che avevo ripreso coraggio: la parte brutta stava per finire. E infatti è finita: ho sentito il pianto della piccola e mi sono commossa. Tutti intorno ci hanno fatto le congratulazioni, è stato come se il senso di sollievo e meraviglia toccasse un po’ tutti. La piccola era sana e splendida. Il recupero è andato relativamente in fretta e senza problemi. Non ho mai avuto male alla ferita, il secondo giorno camminavo, nel giro di un mese e mezzo avevo perso tutto il peso accumulato. Tutto molto bene, tranne l’allattamento, che non è partito; non sono riuscita io, non è riuscita la bimba, non sono riuscite le ostetriche ad aiutarci. Non ha funzionato e la cosa mi ha lasciato un enorme, informe e inaspettato senso di frustrazione. Per fortuna nel giro di un paio di mesi anche quello è stato archiviato. A tre mesi e mezzo la bimba dormiva tutta la notte e io ho ripreso tutte le forze. A cinque lei andava all’asilo e io al lavoro, vera ancora sociale e intellettuale. E appena l’organizzazione ha preso il sopravvento sull’istinto, finalmente anch’io mi sono sentita bene nel mio ruolo di mamma.

Per la nascita di Carlo è andato tutto come avevo immaginato nel senso del momento del cesareo programmato. In sala operatoria erano tutti gentili, e anch’io ero di buon umore. Il momento della nascita di nuovo è stato splendido, ed è arrivato così Carlo, bebé di straordinaria mitezza, anche perché per le prime due settimane non ha in alcun modo capito di essere nato e ha navigato quasi ininterrottamente in un torpore diciamo perinatale. L’allattamento ancora una volta non è partito bene, i miei capezzoli sono difficili da reperire ma i miei seni d’altra parte si riempiono di fiumi di latte. Con Carlo la consulente d’allattamento ci ha insegnato una cosa preziosissima: a tentare senza farci prendere dalla frustrazione. Senza accanimento, senza prenderci o darci la responsabilità del fallimento. E in due settimane abbiamo svoltato. Il bebé ha cominciato a tirare, e a me piace dire che noi “ci allattiamo”, come se il latte che beve lui nutrisse anche a me. Del resto i miei seni si vuotano e io mi sento bene. Sono attiva io ma è attivo anche lui, ed entrambi riceviamo qualcosa. E’ una cosa che facciamo insieme. Forse non immaginavo quanta soddisfazione potesse portare questa svolta. E forse la svolta vera non è stato che funzionasse, ma proprio il provare senza stress. Forse avremmo svoltato anche con il biberon. E con Carlo è scattata la fusione. Primordiale, tenerissimo, tiepido attaccamento reciproco.

Ci racconti un episodio divertente che ti è capitato?

E’ stata divertente quando abbiamo comunicato a Chiara che sarebbe arrivato un fratellino. Ci avevamo pensato a lungo ed eravamo pronti ad una crisi. Le abbiamo detto che saremmo diventati quattro, che c’era un bebé nella pancia della mamma. La piccola ha ascoltato seria e fatto qualche domanda con traquillità. Poi ha lasciato la cucina mormorando tra sé: “che bello, avrò un bebé, diventerò mamma!”.

Alla fine del tuo racconto c’è un’emozione che hai voglia di lasciare qui (di lasciarti alle spalle) e una invece che vuoi portare a casa con te (imprimere nella memoria)?

La fragilità e il malessere che ho sentito durante tutta la seconda gravidanza li lascerei davvero volentieri alle spalle, anche qui se l’intervista può farsene carico! Quanto ad imprimere nella memoria, spero di ricordare per sempre ogni dettaglio di questa bellissima seconda maternità, il profumo di Carlo The King bebé, i mille nomignoli, la sua pelle morbida, i sorrisi storti, le volte che si spiaggia addormentato, il suo calore quando mi si addormenta sulla pancia. E, giusto di fianco, imprimere nella memoria anche la bellezza ammaliante di Chiara, maternità più difficile ma pur sempre terreno fertile per far nascere sana, forte e volitiva la mia prima bimba.

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