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18 Luglio 2018
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Come sapete siamo molto curiose e naturalmente attratte dai professionisti che in un modo o nell’altro, prima o dopo, vengono a contatto con le mamme, i papa’ e i neonati.
Ci piace capire chi sono, cosa fanno, chi si rivolge a loro e con quali motivazioni.
E’ per questo che in un caldo pomeriggio di primavera andiamo a trovare nel suo studio l’osteopata Giovanni Moccia, presso il Poliambulatorio CTR a Reggio Emilia.
Si sente tanto parlare di osteopatia e abbiamo conosciuto tante donne che sia per se stesse, prima o dopo il parto, che per il loro piccolo, hanno sentito il bisogno di rivolgersi a questa figura professionale; ci interessa capire il perché e comprendere in che modo possa soddisfare tali bisogni.
Ci potrebbe brevemente spiegare cosa fa l’osteopata?
L’osteopatia è stata riconosciuta come disciplina sanitaria soltanto da poco tempo benché sia stata “fondata” a fine ‘800 e preveda un percorso di studi lungo e impegnativo.
Ricordo ancora il primo giorno di lezione della scuola di osteopatia in cui il professore francese Andrè Benichou ci tenne un discorso molto lungo sull’ ”olismo”, inteso come comprensione dell’essere nel suo insieme. La visione olistica offre l’opportunità di capire se ciò che manifesta il paziente sia legato ad un trauma fisico oppure emotivo ed in ogni caso di comprenderne più a fondo l’origine.
L’osteopata cerca di correggere alcuni aspetti in modo che la capacità di auto-guarigione insita in ognuno di noi si manifesti liberamente.
Alla nascita, la capacità di auto-guarigione del nostro organismo è molto ampia. Col tempo essa si riduce sempre di più (per fattori legati a traumi fisici, emotivi, culturali).
Prima dell’osteopatia già la medicina cinese si è concentrata su tale capacità che, secondo i medici cinesi, è alterata da uno scambio con l’ambiente esterno non adeguato o non positivo (alimentazione sbagliata, assenza di attività fisica, emozioni eccessive, esposizione a fattori climatici, ecc.).
Per questo, quando lavoro ritengo sia molto importante creare una situazione ottimale all’interno del mio studio, in modo che chiunque entri si senta accolto e in un ambiente favorevole.
Una branca dell’osteopatia, la biodinamica, ha questo come fondamento: valuta il rapporto del paziente con l’ambiente che lo circonda (migliore è il nostro rapporto con l’ambiente esterno, migliore è il nostro stato di salute).
Si cerca la causa e la si corregge in modo da mettere il sistema in grado di autoregolarsi.
L’osteopata non guarisce bensì mette il paziente nella condizione di auto-guarire.
È per questo che gi incontri con l’osteopata sono dilatati nel tempo, perché dopo una seduta si lascia al paziente il tempo di reagire al trattamento.
L’osteopatia biodinamica è particolarmente indicata per i neonati poiché in questa fase della vita i bambini hanno elevate capacità di reazione; sui bambini neurologici gravi si può fare tanto.
Un caso importante che le e’ capitato?
Qualche mese fa è venuta da me una coppia di genitori con la loro piccolina. Erano spaventati perché le era stata diagnosticata una probabile microcefalia. La bimba, nonostante avesse più di un anno, era sempre sdraiata supina e non era mai stata seduta, perché non ci riusciva.
Mentre la trattavo, notai che rispondeva positivamente alle mie sollecitazioni. Dopo una settimana, entrò seduta nel passeggino e i genitori mi dissero che dopo essere da poco rientrati in casa, si era messa seduta da sola per la prima volta. E’ incredibile notare come a questa età basta una piccola e giusta sollecitazione del sistema nervoso perché possa esprimersi al massimo della sua funzionalità.
Quando ha cominciato ad esercitare la sua professione?
Io nasco come fisioterapista 30 anni fa; sono diventato osteopata nel 2010 e da circa cinque anni ho iniziato a praticare l’osteopatia biodinamica.
Sono tutti percorsi che ho intrapreso per caso, benché non credo esista il caso; la mia anima, il mio spirito, mi ha sempre guidato verso questi percorsi tanto da essere approdato qui.
La “nostra anima è un’anima guaritrice”, dice il mio maestro Philippe Caiazzo.
Per quali motivi le mamme si rivolgono a lei?
Mal di schiena, dolore all’inguine, piedi gonfi sono i casi tipici durante la gravidanza e, man mano che la gravidanza procede, diventano più invalidanti.
Poi alcune vengono per prepararsi al parto o anche prima di iniziare la ginnastica pre-parto.
Dopo la nascita vengono molto spesso per far trattare il bambino lamentando problemi come reflusso, mal di pancia, insonnia o deformazioni del cranio.
Personalmente ritengo sia molto importante che le mamme si facciano trattare (specie nella sfera viscerale) persino prima di rimanere incinte poiché questo dona benefici, non solo in generale, ma anche per alleviare i disturbi tipici del primo trimestre (nausea, vomito).
Nel post parto a volte si rivolgono a me per il mal di schiena o per problemi al coccige (che durante il parto può posizionarsi in modo non fisiologico e creare fastidio, fino a diventare invalidante).
Inoltre può valere la pena fare un trattamento anche per capire se l’utero sia ritornato nella sua posizione corretta rispetto agli altri organi.
Di solito però se non hanno molto male, le mamme non si rivolgono all’osteopata.
Sarebbe utile invece seguire i bimbi durante le varie fasi della crescita, come per esempio quando si cambiano i denti oppure prima di decidere di mettere un apparecchio ortodontico che inevitabilmente ha un impatto sulla postura (la bocca è uno dei recettori più importanti della postura). Oggi per fortuna ci sono dentisti che collaborano con gli osteopati.
E i papà li incontra spesso?
Le coppie giovani si presentano insieme ma capita spesso di vedere le mamme che accompagnano i bimbi oppure le nonne che sono a mio parere delle figure molto importanti e attente.
In alcune situazioni, se ritengo sia meglio fare una seduta con entrambi i genitori, chiedo esplicitamente la loro presenza e mentre tratto il bambino attraverso il dialogo ci trattiamo tutti insieme.
Di che cosa pensa abbiano bisogno i neo genitori?
Per me è importante riuscire durante la seduta ad iniziare un dialogo con i genitori per cercare di far comprendere che il bambino si nutre anche di contatto e di relazione e l’attenzione alla qualità della relazione vale quanto la premura che il bambino stia bene fisicamente.
Quando vengono bambini più grandi cerco sempre di capire attraverso qualche domanda che tipo di contesto emotivo- relazionale vivono, ovvero come si trovano a scuola, con gli amici e con gli adulti di riferimento e spesso si scopre come un mal di pancia o un dolore fisico sia la manifestazione di una situazione che il bambino sta vivendo con ansia e difficoltà.
Per me è importante coinvolgere il genitore nell’osservazione delle dinamiche e per questo rimango male quando mi capita di vedere che durante il trattamento di un bambino il genitore si mette in disparte a giocare con il cellulare.
E’ mai stato contattato da un papà prima dell’evento nascita?
No mai. Credo che sia così perché l’uomo vive le emozioni in maniera molto diversa rispetto alla donna.
Il 90% dei miei pazienti sono donne. Noi maschi spesso siamo più superficiali rispetto al genere femminile che tende a caricarsi di molte più preoccupazioni, e questo porta prima o poi alla manifestazione di malesseri fisici correlati alla sfera emotiva.
Un uomo che viene da me per un mal di schiena è perchè ha fatto uno sforzo o perchè fa un lavoro faticoso; una donna che viene per un mal di schiena da me nasconde spesso tensioni diverse.
Per questo anche l’ansia di arrivare al parto viene vissuta in maniera molto diversa dalle madri e dai padri.
Riesce a lavorare in sinergia con le altre figure professionali?
Sì, in generale nel nostro studio sì, anche se non è semplice. Bisogna trovare i professionisti giusti.
Personalmente mi capita spesso di collaborare con un medico otorino il quale ha potuto constatare benefici sui suoi pazienti dopo il trattamento osteopatico dei disturbi delle alte vie respiratorie e cosi, quando me li invia, gli dice scherzosamente “prenda appuntamento da lui che riesce a fare delle magie”…
È importante secondo me aprire la mente e confrontarsi anche con approcci diversi dopo aver fatto un percorso di studi accademici.
Mia figlia per esempio è ostetrica e le capita spesso di seguirmi durante le conferenze che faccio anche sulla medicina cinese e si sta appassionando a questo tipo di approccio.
A tal proposito un consiglio che vi do per la prossima intervista è quello di parlare con un medico di medicina cinese che si occupa anche di agopuntura.
Cosa manca secondo lei nel sostegno alla nascita?
Maggiore attenzione al bambino durante la fase di travaglio e di parto. Il bambino viene sempre monitorato ma diventa il centro dell’attenzione solo nel caso ci siano rischi per la sua salute.
Da parte dei professionisti della nascita c’è giustamente molta attenzione nei confronti della madre ma personalmente ritengo sia molto importante anche rivolgersi al bambino e parlargli.
Esiste un lavoro pubblicato da una psicologa inglese (Birth & Relationship di S. Ray e B. Mandel) nel quale sono state codificate una serie di frasi da dire al bambino durante e dopo la nascita a seconda di come la madre ha vissuto la gravidanza.
Pensiamo per esempio al caso di una gravidanza indesiderata che viene portata avanti tra dubbi, sensi di colpa e preoccupazioni. Le vibrazioni negative che sono state vissute possono essere “riparate” anche attraverso le parole giuste.
Una volta mi è capitato di trattare un neonato nato dopo una gravidanza difficile. I genitori stavano vivendo un momento molto impegnativo anche economicamente e la madre mi ha riportato di avere “maledetto” la nuova vita che portava in grembo.
Mi sono confrontato sul caso con la mia collega Marina Spagnoli, che ha anche conoscenze esoteriche, e lei mi ha suggerito una frase che la mamma avrebbe potuto ripetersi nella mente e pronunciare spesso al bambino per riconciliarsi: “che tu sia benedetto”.
Questo per dire che anche le parole curano perché trasmettono vibrazioni che possono essere positive.
C’è un libro o un film che consiglierebbe?
Come libri ne posso consigliare due: “I genitori perfetti non esistono” di Valentina Giordano, e “Istruzioni per rendersi infelici” di Paul Watzlawick.
Il secondo va bene anche per chi non è genitore.
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